LIVORNO CREDENTE  
 
  Veterum Sapientia 03/12/2024 17:40 (UTC)
   
 
Quanti latinòfobi tra il clero odierno... quanti si richiamano a quel Papa Buono che avrebbe rinnovato la Chiesa!
Come può questa storiella mietere ancora oggi vittime e alimentare incrollabili certezze?


Dalla Costituzione Apostolica Veterum Sapientia, di papa Giovanni XXIII, sullo studio e l’uso del latino:

«L’antica sapienza, racchiusa nelle opere letterarie romane e greche, e parimenti i più illustri insegnamenti dei popoli antichi devono essere ritenuti quasi aurora annunziatrice del Vangelo, che il Figlio di Dio, “arbitro e maestro della grazia e della scienza, luce e guida del genere umano” [Tert., Apol. 21] ha annunciato su questa terra. Infatti i Padri e Dottori della Chiesa riconobbero in questi antichissimi e importantissimi monumenti letterari una certa preparazione degli animi a ricevere la celeste ricchezza, che Gesù Cristo “nel verificarsi della pienezza dei tempi” [Ef 1,10], comunicò ai mortali; da ciò appare chiaramente che, con l’avvento del Cristianesimo, non è andato perduto quanto di vero, di giusto, di nobile e anche di bello i secoli trascorsi avevano prodotto. 

Per la qual cosa la Santa Chiesa ebbe sempre in grande onore i documenti di quella sapienza e prima di tutto le lingue Latina e Greca, quasi veste aurea della stessa sapienza; accettò anche l’uso di altre venerabili lingue, che fiorirono nelle regioni orientali, che non poco contribuirono al progresso del genere umano e alla civiltà; le stesse, usate nelle cerimonie religiose o nell’interpretazione delle Sacre Scritture, hanno vigore anche oggi in alcune regioni, quasi non mai interrotte voci di un uso antico ancora vigoroso.

Nella varietà di queste lingue certamente si distingue quella che, nata nel Lazio, in seguito giovò mirabilmente alla diffusione del Cristianesimo nelle regioni occidentali. Giacché, non senza disposizione della Divina Provvidenza accadde che la lingua, la quale per moltissimi secoli aveva unito tante genti sotto l’Impero Romano, diventasse propria della Sede Apostolica e, custodita per la posterità, congiungesse in uno stretto vincolo, gli uni con gli altri, i popoli cristiani dell’Europa.

Infatti, di sua propria natura la lingua latina è atta a promuovere presso qualsiasi popolo ogni forma di cultura; poiché non suscita gelosie, si presenta imparziale per tutte le genti, non è privilegio di nessuno, infine è a tutti accetta ed amica. Né bisogna dimenticare che la lingua latina ha nobiltà di struttura e di lessico, dato che offre la possibilità di “uno stile conciso, ricco, armonioso, pieno di maestà e di dignità” [Pio XI, Epist. Ap. Officiorum omnium, 1-8-1922], che singolarmente giova alla chiarezza ed alla gravità.

Per questi motivi la Santa Sede ha gelosamente vegliato sulla conservazione e il progresso della lingua latina e la ritenne degna di usarla essa stessa, “come magnifica veste della dottrina celeste e delle santissime leggi” [Pio XI, Motu Proprio Litterarum Latinarum, 20-10-24], nell’esercizio del suo magistero, e volle che l’usassero anche i suoi ministri. Infatti questi uomini della Chiesa, ovunque si trovino, usando la lingua di Roma, possono piú rapidamente venire a sapere quanto riguarda la Santa Sede ed avere con questa e fra loro piú agevole comunicazione […].

Pertanto, sia i Pontefici Romani, quando vogliono impartire qualche insegnamento alle genti cattoliche, sia i Dicasteri della Curia Romana, quando trattano di affari, quando stendono dei decreti, che riguardano tutti i fedeli, sempre usano la lingua latina, che è accolta da innumerevoli genti, quasi voce della madre comune. Ed è necessario che la Chiesa usi una lingua non solo universale, ma anche immutabile.

Se, infatti, le verità della Chiesa Cattolica fossero affidate ad alcune o a molte delle lingue moderne che sono sottomesse a continuo mutamento, e delle quali nessuna ha sulle altre maggior autorità e prestigio, ne deriverebbe senza dubbio che, a causa della loro varietà, non sarebbe a molti manifesto con sufficiente precisione e chiarezza il senso di tali verità, né d’altra parte si disporrebbe di alcuna lingua comune e stabile, con cui confrontare il significato delle altre.

Invece, la lingua latina, già da tempo immune da quelle variazioni che l’uso quotidiano del popolo suole introdurre nei vocaboli, deve essere considerata stabile ed immobile, dato che il significato di alcune nuove parole che il progresso, l’interpretazione e la difesa delle verità cristiane richiesero, già da tempo è stato definitivamente acquisito e precisato […].

La lingua latina, che “a buon diritto possiamo dire cattolica” [Pio XI, Epist. Ap. Officiorum omnium, 1-8-1922], poiché è propria della Sede Apostolica, madre e maestra di tutte le Chiese, e consacrata dall’uso perenne, deve essere ritenuta “tesoro di incomparabile valore” [Pio XII, Alloc. Magis quam, 23-11-1951] e quasi porta attraverso la quale si apre a tutti l’accesso alle stesse verità cristiane, tramandate dagli antichi tempi, per interpretare le testimonianze della dottrina della Chiesa e, infine, vincolo quanto mai idoneo, mediante il quale l’epoca attuale della Chiesa si mantiene unita con le età passate e con quelle future in modo mirabile.

Invero, nessuno può dubitare che la lingua latina e la cultura umanistica siano fornite di quella forza che è ritenuta quanto mai adatta a istruire e a formare le tenere menti dei giovani. Per suo mezzo, infatti,  si educano, maturano, si perfezionano le migliori facoltà dello spirito; la finezza della mente e la capacità di giudizio si acuiscono; inoltre, l’intelligenza del fanciullo viene più convenientemente formata a comprendere e a giudicare nel giusto senso ogni cosa; infine, si impara a pensare e a parlare con sommo ordine.

Se si riflette su tutti questi meriti, si comprende perché i Pontefici Romani così frequentemente hanno sommamente lodato non solo l’importanza e l’eccellenza della lingua latina, ma ne hanno prescritto lo studio e la pratica ai sacri ministri dell’uno e dell’altro clero, senza omettere di denunciare i pericoli derivanti dal suo abbandono.

Spinti anche Noi da questi gravissimi motivi, come i nostri Predecessori e i Sinodi Provinciali, con ferma volontà intendiamo adoperarci perché lo studio e l’uso di questa lingua, restituita alla sua dignità, faccia sempre maggiori progressi. Poiché in questo nostro tempo si è cominciato a contestare in molti luoghi l’uso della lingua Romana e moltissimi chiedono il parere della Sede Apostolica su tale argomento, abbiamo deciso, con opportune norme, enunciate in questo documento, di fare in modo che l’antica e mai interrotta consuetudine della lingua latina sia conservata e, se in qualche caso sia andata in disuso, sia completamente ripristinata.

Del resto, quale sia il nostro pensiero su tale argomento, crediamo di averlo abbastanza chiaramente dichiarato quando rivolgemmo queste parole ad illustri studiosi del Latino: “Purtroppo vi sono parecchi che, esageratamente sedotti dallo straordinario progresso delle scienze hanno la presunzione di respingere o limitare lo studio del Latino e di altre discipline di tal genere… Precisamente mossi da questa necessità, Noi riteniamo che si debba intraprendere il cammino opposto. Poiché l’animo si nutre e compenetra di tutto ciò che maggiormente onora la natura e la dignità dell’uomo, con maggiore ardore si deve acquisire ciò che arricchisce ed abbellisce lo spirito, affinché i miseri mortali non siano freddi, aridi e privi di amore, come le macchine che fabbricano» [Al Congresso Internazionale Ciceronianis Studiis provehendis, 7-9-1959].

Dopo aver esaminato queste cose e dopo averle valutate attentamente, con sicura coscienza del Nostro ufficio e nell’esercizio della Nostra autorità, stabiliamo e ordiniamo quanto segue: 

1. Sia i Vescovi che i Superiori Generali degli Ordini religiosi si adoperino efficacemente perché nei loro Seminari e nelle loro Scuole, nelle quali i giovani vengono preparati al sacerdozio, tutti si conformino con impegno alla volontà della Sede Apostolica e obbediscano con la maggiore diligenza a queste Nostre prescrizioni. 

2. I medesimi Vescovi e Superiori Generali degli Ordini religiosi, mossi da paterna sollecitudine, vigileranno affinché nessuno dei loro soggetti, smanioso di novità, scriva contro l’uso della lingua latina nell’insegnamento delle sacre discipline e nei sacri riti della Liturgia e, con opinioni preconcette, si permetta di estenuare la volontà della Sede Apostolica in materia e di interpretarla erroneamente.

3. Come è stabilito nelle disposizioni sia del Codice di Diritto Canonico sia dei Nostri Predecessori, gli aspiranti al Sacerdozio, prima di intraprendere gli studi ecclesiastici veri e propri, siano istruiti nella lingua latina con somma cura e con metodo razionale da maestri assai esperti, per un conveniente periodo di tempo, “anche per il motivo che, in seguito, avvicinatisi a discipline di maggior impegno… non accada che, ignorando la lingua, non possano giungere alla completa comprensione delle dottrine e nemmeno esercitarsi nelle dispute scolastiche, per mezzo delle quali le menti dei giovani si affinano alla difesa della verità” [Pio XI, Epist. Ap. Officiorum omnium, 1-8-1922]. Nessuno, invero, deve essere introdotto allo studio delle discipline filosofiche o teologiche se non sia stato pienamente e perfettamente istruito in questa lingua e sappia bene usarla. 

4. Se in qualche paese, poi, per aver adottato un programma di studio proprio delle scuole pubbliche dello Stato, lo studio della lingua latina abbia subito delle diminuzioni, con danno di un insegnamento solido ed efficace, decretiamo che in tal caso sia completamente ripristinato l’ordine tradizionale dell’insegnamento di tale lingua per la formazione dei sacerdoti […].

5. Le più importanti discipline sacre, come è stato assai spesso ordinato, devono essere insegnate in lingua latina, la quale, come lo dimostra l’esperienza di parecchi secoli, “è stimata la più adatta a spiegare l’intima e profonda natura delle nozioni e delle forme con assoluta chiarezza e lucidità” [Epist. S. Congr. Stud. Vehementer sane ad Ep. universos, 1-7-1908]; tanto più che essa si è venuta arricchendo di vocaboli appropriati e precisi, adatti a difendere l’integrità della fede cattolica, e non poco adatta recidere ogni vuota verbosità […].

6. Poiché la lingua latina è lingua viva della Chiesa, che dev’essere continuamente adattata alle crescenti necessità del linguaggio e arricchita con nuovi e appropriati e convenienti vocaboli […], affidiamo l’incarico alla Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università degli Studi di fondare un’Accademia di Studi Latini.

7. Poiché la lingua latina è strettamente connessa con quella greca, e per l’insieme della sua struttura e per l’importanza dei testi tramandati, è necessario che anche in questa siano istruiti, come molte volte i Nostri Predecessori hanno ordinato, i futuri ministri dell’arte fin dalle scuole inferiori e medie, affinché, quando si applicheranno alle discipline superiori e soprattutto se raggiungeranno i corsi accademici sulle Sacre Scritture e sulla Sacra Teologia, essi abbiano la possibilità di accostarsi e interpretare giustamente non solo le fonti greche della filosofia “scolastica”, ma anche i testi originali delle Sacre Scritture, della Liturgia e dei Padri greci.

8. Alla medesima Sacra Congregazione ordiniamo di predisporre un ordinamento degli studi sulla lingua latina, che tutti dovranno applicare con estrema diligenza, in modo che, quanti lo seguiranno, acquistino appropriata conoscenza e pratica della lingua stessa. Se il caso lo richiederà, le Commissioni degli Ordinari potranno regolare diversamente il programma, ma giammai mutarne o diminuirne la natura e il fine. Nondimeno, gli stessi Vescovi non si permettano di attuare le loro decisioni, se prima la Sacra Congregazione non le avrà esaminate ed approvate.

Infine, in virtú della Nostra Apostolica Autorità vogliamo ed ordiniamo che quanto abbiamo stabilito, decretato, ordinato ed ingiunto con questa Nostra Costituzione resti definitivamente fermo e sancito non ostante qualsiasi prescrizione in contrario, pur degna di speciale menzione».

Dato in Roma, presso San Pietro, il giorno 22 febbraio, Festa della Cattedra di San Pietro Apostolo, nell’anno 1962, quarto del Nostro Pontificato. Ioannes PP. XXIII
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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