Cronistoria di un abuso liturgico filo-protestante: ecco come il sacrilegio della Comunione nelle mani si fece largo nella Chiesa
Don Marcello Stanzione, Presidente dell’Associazione ‘Milizia di San Michele Arcangelo’
Città del Vaticano - Nel XVI secolo, i riformatori protestanti, nel loro nuovo culto cristiano, ristabilirono la Comunione sulla mano per affermare due loro eresie fondamentali: non esisteva affatto la cosiddetta ‘transustanziazione’ e il pane usato era pane comune.
In altre parole, sostenevano che la reale presenza di Cristo nell’Eucarestia fosse solo una superstizione papista ed il pane fosse solo semplice pane e chiunque lo potesse maneggiare. Inoltre, affermarono che il ministro della Comunione non fosse affatto Diverso, nella sua natura, dai laici. É invece insegnamento cattolico che il Sacramento dell’Ordine Sacro dona all’uomo un potere spirituale, sacramentale, imprime cioè un segno indelebile nella sua anima e lo rende sostanzialmente diverso dai laici.
Al contrario, il ministro protestante è un uomo comune che guida gli inni, fa sermoni per sostenere le convinzioni dei credenti. Egli non può trasformare il pane ed il vino nel Corpo e nel Sangue di Nostro Signore, non può benedire, non può perdonare i peccati, non può, in una parola, fare niente che non possa fare un qualsiasi semplice laico.
Egli, dunque, non è veicolo di grazia soprannaturale. Il ristabilimento protestante della Comunione nella mano fu un ‘semplice’ modo per manifestare il rifiuto di credere nella reale presenza di Cristo nell’Eucarestia, rifiuto del Sacerdozio Sacramentale, in breve il negare l’intero Cattolicesimo. Da quel momento in avanti, la Comunione sulla mano acquistò un significato chiaramente anticattolico. Era una pratica palesemente anticattolica, fondata sulla negazione della reale presenza di Cristo nell’Eucarestia e del Sacerdozio. Dopo il Concilio Vaticano II, in Olanda, alcuni preti cattolici di mentalità protestante cominciarono a dare la Comunione sulla mano, scimmiottando la pratica protestante.
Ma alcuni Vescovi olandesi, anziché fare il loro dovere e condannare l’abuso, lo tollerarono e in tal modo permisero che l’abuso continuasse incontrollato. La pratica si diffuse dunque alla Germania, al Belgio, alla Francia. Ma se alcuni Vescovi parvero indifferenti a questo scandalo, gran parte del laicato di allora rimase oltraggiato. Fu l’indignazione di un grande numero di fedeli che spinse Papa Paolo VI a prendere l’iniziativa di sondare l’opinione dei Vescovi del mondo su questa questione ed essi votarono unicamente per MANTENERE la pratica tradizionale di ricevere la Santa Comunione sulla lingua.
É anche doveroso notare che, a quell’epoca, l’abuso era limitato a pochi Paesi Europei, tanto che non era ancora iniziato negli Stati Uniti e in America Latina. Papa Paolo VI promulgò allora, il 28 maggio 1969, il documento ‘Memoriale Domini’ in cui affermava testualmente: ‘I Vescovi del mondo sono unanimemente contrari alla Comunione sulla mano. Deve essere osservato questo modo di distribuire la Comunione, ossia il sacerdote deve porre l’Ostia sulla lingua dei comunicandi. La Comunione sulla lingua non toglie dignità in nessun modo a chi si comunica. Ogni innovazione può portare all’irriverenza ed alla profanazione dell’Eucarestia, così come può intaccare gradualmente la dottrina corretta’. Il documento, inoltre, affermava:
‘Il Supremo Pontefice giudica che il modo tradizionale ed antico di amministrare la Comunione ai fedeli non deve essere cambiato. La Sede Apostolica invita perciò fortemente i Vescovi, i preti ed il popolo ad osservare con zelo questa legge’.
Ma poiché questa era l’epoca del compromesso, il documento pontificio conteneva il germe della sua stessa distruzione, poiché l’Istruzione continuò dicendo che, dove l’abuso si era già fortemente consolidato, poteva essere legalizzato con la maggioranza dei due terzi in un ballottaggio segreto della Conferenza Episcopale Nazionale (a patto che la Santa Sede confermasse la decisione).
Ciò finì a vantaggio dei sostenitori della Comunione nella mano. E si deve sottolineare che l’Istruzione diceva dove l’abuso si è già consolidato. Naturalmente, il clero di mentalità protestante (compreso il nostro) concluse che, se questa ribellione poteva essere legalizzata in Olanda, poteva essere legalizzata ovunque. Si pensò che, ignorando il ‘Memoriale Domini’ e sfidando la legge liturgica della Chiesa, questa ribellione non solo sarebbe stata tollerata, ma alla fine legalizzata.
Questo fu esattamente ciò che accadde, ed ecco perché abbiamo oggi la pratica della Comunione sulla mano. La Comunione sulla mano, quindi, non solo fu avviata nella disobbedienza, ma fu perpetuata con l’inganno. La propaganda, negli anni ’70, fu usata per proporre la Comunione sulla mano ad un popolo ingenuo, con una campagna di mezze verità che dava ai cattolici la falsa impressione che il Vaticano II avesse fornito una disposizione per l’abuso, quando, di fatto, non vi è accenno in proposito in nessuno dei documenti del Concilio.
Inoltre, non venne detto ai fedeli che la pratica fu avviata da un clero di mentalità filoprotestante e filomassone, in spregio alla Legge liturgica stabilita, ma la fecero suonare come una richiesta da parte del laicato; non chiarirono, gli assertori della Comunione nelle mani, che i Vescovi del mondo, quando fu sondata la loro opinione, votarono unanimemente contro questa pratica; non fecero riferimento al fatto che il permesso doveva essere solo una tolleranza dell’abuso, laddove si fosse già instaurato nel 1969, e che non vi era stato alcun una via libera perché la Comunione nelle mani si diffondesse ad altri Paesi come l’Italia e gli Stati Uniti d’America. Siamo ora arrivati al punto in cui la pratica dell’Ostia sulla mano è addirittura presentata come il modo migliore di ricevere l’Eucarestia, e anche la maggior parte dei nostri fanciulli cattolici è stata male istruita a ricevere la Prima Comunione. Ai fedeli si dice che è una pratica facoltativa e se a loro non piace, possono ricevere la Comunione sulla lingua.
La tragedia è che se questo è facoltativo per il laicato, non lo è per il clero. I preti sono chiaramente istruiti ad amministrare la Comunione sulla mano, che a loro piaccia o no, a chiunque lo richieda, gettando così moltissimi preti in una agonizzante crisi di coscienza.
É dunque evidente che nessun prete può essere legittimamente forzato ad amministrare la Comunione sulla mano; dobbiamo pregare affinché il maggior numero di sacerdoti abbia il coraggio di salvaguardare la riverenza dovuta a questo Sacramento e non venga intrappolato in una falsa ubbidienza che fa sì che essi collaborino alla perdita di sacralità di Cristo nell’Eucarestia.
I preti devono trovare il coraggio di combattere questa nuova pratica che fa parte dell’occulta strategia di protestantizzazione del Cattolicesimo, ricordando che Papa Paolo VI, giustamente, predisse che la Comunione sulla mano avrebbe portato all’irriverenza e alla profanazione dell’Eucarestia e ad una graduale erosione della dottrina ortodossa.
Questo abuso illegittimo si è così ben radicato come una tradizione locale, che anche Papa Giovanni Paolo II non ebbe successo a denunciare, nonostante un suo tentativo per frenare l’abuso.
Nella sua Lettera ‘Dominae Cenae’ del 24 febbraio 1980, il Pontefice polacco riaffermò gli insegnamenti della Chiesa secondo cui toccare le Sacre Specie e amministrarle con le proprie mani è un privilegio dei consacrati. Ma, per un qualsivoglia motivo, questo documento di 28 anni fa non conteneva nessuna minaccia di sanzioni contro laici, sacerdoti o Vescovi che avessero ignorato la difesa dell’uso della Comunione sulla lingua come voleva il Papa. Una legge senza una pena non è una legge, bensì un suggerimento.
Cosicché, il documento di Giovanni Paolo II fu accolto da diversi membri del clero dei Paesi dell’Occidente come un suggerimento non apprezzato e purtroppo trascurato.
[Fonte: Petrus 29 marzo 2008]
Sull'onda della denuncia di forzature liturgiche indebite, per non generare ulteriore scandalo nei semplici, consigliamo la lettura di questo articolo a quei preti e frati che fanno "fatica" ad accettare il fatto che i tempi cambino. E che nella Liturgia ci si debba adeguare alla Tradizione, non al proprio capriccio.
di don Gabriel Diaz Patri
Papa Benedetto XVI ha distribuito negli ultimi mesi in alcune importanti cerimonie pontificie l’Eucaristia in bocca e con i comunicanti in ginocchio, e dalle dichiarazioni del suo maestro di cerimonie sembra che questa sia la pratica per il futuro. Lo studio che ha fatto da battistrada per riprendere in considerazione la delicata materia della distribuzione dell’Eucaristia sulla mano è stato quello dell’allora vescovo di San Luis in Argentina, mons. Juan Rodolfo Laise, dal titolo Comunione sulla Mano – Documenti e Storia. Abbiamo chiesto a uno dei suoi principali collaboratori in questa vicenda un riassunto delle linee conduttrici di questa opera.
Questo libro si articola come un commento dettagliato dei documenti su cui si basa la legislazione vigente che riguarda questa materia, al quale si aggiunge una appendice che, compendiando il contesto storico in cui questi documenti nacquero, permette di comprendere meglio la mente del legislatore, elemento chiave per l’interpretazione di una legge. Infine, e dopo aver risposto ai principali argomenti invocati per giustificare la prassi della Comunione sulla mano, lo studio si conclude con una riflessione sull’applicazione concreta degli elementi esposti lungo le sue pagine.
Alcune verità dimenticate
Subito dall’inizio ci confrontiamo con una serie di concetti contrastanti con quanto normalmente sentiamo dire. Può sorprendere, per esempio, venire a conoscenza che questa maniera di ricevere la Comunione non fu trattata e neanche fu menzionata nel Concilio e che non fa parte della “Riforma liturgica” posteriore.
Grazie a una ricostruzione storica basata sul prezioso racconto dei fatti che fa mons. Annibale Bugnini, non solo testimone ma anche protagonista di essi, nel suo libro di memorie La Riforma liturgica 1948-1975, possiamo realizzare che, infatti, l’uso fu introdotto senza autorizzazione in certe regioni d’Europa verso la metà degli anni Sessanta. Nonostante Papa Paolo VI avesse già nel ‘65 determinato fermamente che in quei luoghi si doveva ritornare alla Comunione in bocca, questo e altri richiami posteriori dell’autorità suprema non ebbero alcun effetto.
Davanti a una resistenza che si dimostrava irremovibile, il Papa iniziò finalmente a prendere in considerazione (nel 1968) la possibilità di trovare una soluzione ritenendo pure che un cambio in questa materia rischiava di affievolire la fede del popolo nella presenza eucaristica.
Un percorso accidentato
Infine il Papa, che, secondo le sue stesse parole, non poteva «esimersi dal considerare l’eventuale innovazione con ovvia apprensione», fece fare una consulta sub secreto all’episcopato mondiale.
Il risultato fu che la stragrande maggioranza si dichiarò contraria a qualsiasi concessione. Di conseguenza, Paolo VI diede ordine alla Congregazione per il Culto Divino perché preparasse «un progetto di documento Pontificio, nel quale: 1°) Si dia sommaria notizia dei risultati della consultazione dei Vescovi; 2°) la quale conferma il pensiero della S. Sede circa la inopportunità della distribuzione della S. Comunione sulla mano dei fedeli, indicandone le ragioni (liturgiche, pastorali, religiose, ecc.). Rimane pertanto confermata la norma vigente. 3°) Se alcune Conferenze episcopali, ciò nonostante, crederanno di dover permettere questa innovazione, vogliano ricorrere alla S. Sede, ed attenersi poi, se accordata l’implorata licenza, alle norme e istruzioni che la accompagneranno».
Fu così che il 29 maggio 1969 la Congregazione per il Culto Divino pubblicò l’istruzione Memoriale Domini, contenente la legislazione sull’argomento che è ancora in vigore e che si potrebbe sintetizzare in questa maniera: la proibizione della Comunione sulla mano rimane vigente in modo universale e si esortano vivamente i vescovi, sacerdoti e fedeli che si sottomettano diligentemente a questa legge nuovamente ribadita. Tuttavia, dove si fosse radicato questo uso introdotto in maniera illecita, si prevede la possibilità di concessione a quei settori che non sono disposti a ubbidire a questa esortazione.
In quei casi, «per aiutare le conferenze episcopali ad adempiere il proprio compito pastorale, nelle odierne circonstanze, più scabrose che mai», il Papa dispose che le rispettive conferenze (con l’approvazione di due terzi dei suoi membri) avrebbero potuto chiedere un’autorizzazione a Roma affinché, ogni vescovo di quella conferenza, secondo la sua prudenza e coscienza, potesse permettere la pratica della Comunione in mano nella sua diocesi. Secondo i documenti trascritti da mons. Bugnini, con questa concessione si mirava probabilmente ad evitare che «in questi tempi di forte contestazione (...) l’autorità non venga battuta sulla breccia, mantenendo una proibizione che difficilmente avrebbe seguito nella pratica», giacché nello studiare le diverse possibili soluzioni si avvertiva: «è da prevedere anche una reazione violenta in alcune zone e una disubbidienza piuttosto diffusa dove l’uso è stato già introdotto».
Tuttavia, la volontà chiaramente restrittiva del legislatore indicava che la concessione doveva interpretarsi e applicarsi in modo da favorire il meno possibile la diffusione del rito. Questa legislazione non è mai stata modificata, né sono state allargate posteriormente le possibilità di introdurre la Comunione in mano.
Eppure le richieste delle conferenze episcopali – benché non ci fossero le condizioni richieste per domandare l’indulto –; l’insistenza nel riconsiderare il problema in luoghi dove già era stata previamente verificata l’assenza di quelle restrittive condizioni; la sua fin troppo facile concessione da parte del dicastero pertinente e, soprattutto, l’assoluto silenzio sulla disubbidienza irriducibile che era al cuore del problema; fecero sì che la prassi si estendesse quasi universalmente.
Riscoperta o retrocessione?
Un secondo punto dello studio di mons. Laise che richiama l’attenzione riguarda il fatto che la nuova prassi non sarebbe davvero una «riscoperta» di una «antica tradizione», consistente «nel tornare a ricevere la Comunione come nella Chiesa delle origini e dei padri » come si sente dire spesso. Nella istruzione
Memoriale Domini si dice chiaramente che, sebbene nel cristianesimo primitivo la sacra Comunione si riceveva normalmente in mano, «col passare del tempo si approfondì la conoscenza del mistero eucaristico, della sua efficacia e della presenza di Gesù Cristo in esso, in modo che, sia per il senso di riverenza verso questo Sacramento che per il senso di umiltà col quale bisogna riceverlo, si introdusse la pratica di collocare sulla lingua del comunicante la sacra Forma». Nel contesto si vede che per Paolo VI questo cambio fu un vero progresso. Nei testi antichi non si menziona che i Padri della Chiesa abbiano trovato alcun vantaggio nel comunicarsi ricevendo l’Eucaristia sulla mano, né che loro abbiano fatto elogi di questa prassi come tale.
Semplicemente non conoscevano altro. Anzi, nell’allertare ripetutamente sui pericoli ad essa collegati, i Padri evidenziano una imperfezione inerente a questa modalità di comunicarsi. Perciò, l’autore afferma che anche se la Comunione sulla mano fu, senza dubbio, il modo di comunicarsi dei santi Padri, la Comunione in bocca sembra il modo di riceverla che avrebbero desiderato avere. Così fu che col passar del tempo, a un determinato momento, un uso finì per sostituire l’altro, al punto che quello di prima non fu soltanto abbandonato ma addiritura esplicitamente proibito.
Lo zampino del Catechismo olandese...
Secoli più tardi l’uso di comunicarsi in mano fu ripreso dai riformatori protestanti con una chiara connotazione dottrinale. Secondo Martino Bucero, assessore della riforma anglicana, il distribuire la Comunione nella bocca si doveva a due “superstizioni”: il “falso onore” che si pretende attribuire a questo Sacramento e la “perversa credenza” che le mani dei ministri, a causa dell’unzione ricevuta nella ordinazione, siano più sante delle mani dei laici.
Perciò, quando nella seconda metà del secolo XX la Comunione sulla mano iniziò a penetrare negli ambienti cattolici, non si trattava più di un mero ritorno ad un uso primitivo: a partire dalla riforma e negli ultimi secoli, tale uso aveva acquisito una certa valenza contraria alla dottrina cattolica sulla presenza reale e sul sacerdozio.
Non è un caso, del resto, che proprio in uno dei primi luoghi dove la Comunione sulla mano s’introdusse abusivamente fosse stato pubblicato poco tempo prima un “Nuovo Catechismo” (il noto “Catechismo Olandese”) al quale la Santa Sede dovette imporre numerose modifiche (14 principali e 45 minori).
In questo testo, commissionato dall’episcopato olandese e presentato mediante una “lettera pastorale collettiva”, si metteva in dubbio la presenza reale e sostanziale di Cristo nell’Eucaristia, si dava una spiegazione inammissibile della transustanziazione e si negava qualsiasi forma di presenza di Gesù Cristo nelle particelle o frammenti staccatisi dall’Ostia dopo la Consacrazione. D’altra parte si faceva confusione fra il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio gerarchico.
Un modo vale l’altro?
Terzo aspetto trattato dal presule argentino è che, persino dove è permesso l’uso della Comunione sulla mano, non si tratta di una opzione in più proposta dalla Chiesa di pari valore all’altro uso vigente.
Infatti, la posizione della Santa Sede riguardo alla maniera di comunicarsi non è indifferente: la Comunione in bocca è stato il modo chiaramente raccomandato mentre l’altro modo è soltanto tollerato (come consequenza di quello che l’autore definisce la «disubbidienza piú grave alla autorità papale negli ultimi tempi »), dovendosi inoltre prendere una serie di precauzioni, specialmente per ciò che riguarda la pulizia delle mani e la cura attenta delle particelle (prescrizioni che, del resto, sono di rado tenute in conto nella pratica).
Secondo quanto afferma l’istruzione
Memoriale Domini, la modalità di comunicarsi in bocca che da un millenio ha sostituito universalmente la pratica di ricevere la Comunione sulla mano è propria alla preparazione che si richiede per ricevere il Corpo del Signore nel modo più fruttuoso possibile e assicura più efficacemente che la Sacra Comunione sia distribuita con riverenza, decoro e dignità, allontanando così ogni pericolo di profanare le sacre specie Eucaristiche, facendo attenzione con diligenza della cura che la Chiesa ha sempre raccomandato anche nei riguardi delle particelle stesse del pane consacrato (infatti, con la Comunione sulla mano ci vorrebbe ogni volta un miracolo perché non cadesse per terra una particella o non rimanesse un piccolo frammento aderito alla pelle).
Come ricordava Paolo VI nella
Mysterium Fidei, Origene racconta che «i fedeli si credevano in colpa, “e giustamente”, se, ricevuto il corpo del Signore, pur conservandolo con ogni cautela e venerazione, ne cadesse per negligenza qualche frammento».
Le espressioni dei Padri, il cambiamento nel modo di ricevere la Comunione alla fine del primo millenio e gli argomenti di Paolo VI per negare la reintroduzione del modo antico, riflettono tutti l’unica fede della Chiesa nella presenza reale, sostanziale e permanente, persino nelle più piccole particelle, le quali esigono attenzione e adorazione. SS. Benedetto XVI non fa che mettere in pratica tutto questo.
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Dall’intervista al Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, mons. Guido Marini, curata da Gianluigi Biccini per le pagine dell’Osservatore Romano (26 giugno 2008).
Nella recente visita a Santa Maria di Leuca e Brindisi il Papa ha distribuito la Comunione ai fedeli in bocca e in ginocchio. È una prassi destinata a diventare abituale nelle celebrazioni papali?
Penso proprio di sì. Al riguardo non bisogna dimenticare che la distribuzione della Comunione sulla mano rimane tuttora, dal punto di vista giuridico, un indulto alla legge universale concessa dalla Santa Sede a quelle conferenze episcopali che ne abbiano fatto richiesta. La modalità adottata da Benedetto XVI tende a sottolineare la vigenza della norma valida per tutta la Chiesa. In aggiunta si potrebbe forse vedere anche una preferenza per l’uso di tale modalità di distribuire che, senza nulla togliere all’altra, meglio mette in luce la verità della presenza reale nell’Eucaristia, aiuta la devozione dei fedeli, introduce con più facilità il senso del mistero. Aspetti che, nel nostro tempo, pastoralmente parlando, e urgente sottolineare e recuperare.
Fonte Radici Cristiane Ottobre 2008.